MONARCH migliore (non) recensione

    •    Non so se ti ricordi di me, ci siamo conosciuti a Lucca tramite Eleonora. Ti scrivo perché volevo farti sapere che Monarch è uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi anni. Immagino che ti possa far piacere, visto che in Italia la considerazione di questo tipo di letteratura purtroppo non è quella che dovrebbe essere e di sicuro il tuo libro non ha circolato quanto meriterebbe. Anche se è un libro difficile e credo che tu ne sia cosciente. Io l’ho letto più di una volta e penso che lo riprenderò ancora. E questo per me è un primo indice del livello di un’opera. Penso anche che sia un testo che comunica delle cose adesso e le comunicherà nello stesso modo tra dieci, venti, trent’anni. E rimanere fuori dal tempo è un traguardo che non raggiungono tantissimi libri. Più che altro il fatto di volerlo rileggere mi ha portato a pensare di scriverti. Sei riuscito a raccontare un legame così stretto e indicibile come quello tra torturatore e vittima in modo tanto impietoso quanto privo di giudizio morale o di facili risposte emotive. Parli di cose innominabili, allo stesso tempo allucinanti e consolatorie, con uno sguardo quasi amorevole verso entrambi i personaggi. E hai potuto farlo perché hai trasceso il livello più superficiale di lettura, ovvero che questo tipo di rapporti siano un’aberrazione rispetto alla normalità dell’esistenza, un qualcosa che succede forse, a volte, e lontano da noi, e che infatti rimane innominabile, apparentemente inspiegabile. E poi hai preso questo rapporto e l’hai portato ad un altro livello, l’hai reso un discorso universale sulla natura umana. Scusa se entro così nel tuo privato, ma credo che questo libro sia il frutto di una continua riflessione in profondità, che deve anche essere stata molto sofferta. Eppure, da autore, sei riuscito ad uscire dal testo e a non far sentire la tua voce. Proprio perché sei un autore mi permetto di scriverti e credo ti faccia piacere sapere che hai comunicato così tanto, anche se poi ogni lettore interpreta e questo testo si presta a tante interpretazioni quante sono le domande che un lettore di può porre, partendo da sé stesso. Hai preso un rapporto innominabile e l’hai reso contemporaneamente un discorso sul potere, sull’amore, sul dolore e sulla consapevolezza. L’hai fatto usando un unione di testo e immagini che forse è l’unico modo plausibile di raccontare quello che le parole da sole non avrebbero potuto tradurre. Hai pensato anche ad una lettura circolare che non abbia un inizio e una fine, come di fatto non ha fine quello di cui stai parlando, di generazione in generazione, è una storia che esiste all’infinito, come un tortura, o un ossessione. E quando mi capita di riprenderlo e rileggere della parti, la sensazione ogni volta è quella di entrare in un meccanismo più che in un racconto. Poi, che parta da una storia vera, quello credo sia il dettaglio meno influente. E’ una storia vera a prescindere. Purtroppo non ho letto molto di tuo e ora mi spiace di non aver preso “Storia di una madre” al Crack, la scorsa estate. Rimedierò. Insomma, tutto ciò per dirti grazie. E scusa per la lunghezza, non sono sensazioni facilissime da tradurre in poche parole.
Valentina Griner