Reloaded

Gabriele Di Benedetto, alias AkaB è un fumettista, pittore e videoartista. Negli anni novanta lo vediamo crescere sulla scena del fumetto underground: è al tempo cofondatore dello Shok Studio, collaborando con alcune tra le più importanti case editrici americane del settore: Marvel, Dark Horse, DC Comics. Quando lo studio chiude si dedica alla pittura ed espone in diverse collettive e personali. Si rifugia per un anno in Islanda e continua a disegnare.
Partendo dalla grafica inizia a sperimentare, cogliendo fin da subito le potenzialità del digitale, animazioni classiche e in flash, corti e video, fino al cinema: nel 2003 realizza Mattatoio, lungometraggio presentato alla mostra del cinema di Venezia.
Unica grande influenza consapevole è stato Egon Schiele, che desta in lui la passione per il tratto, anzi la restituisce dopo la noia della scuola, delle lezioni senza vita di disegno dal vero. Fortunatamente non abbandona il fumetto e realizza alcuni capolavori, nei quali è ben evidente come non sia soltanto il disegno ma la scrittura di una storia a rendere indimenticabili questi lavori. E’ quindi la sua produzione di graphic novel ad interessarci particolarmente, tutte successive a Mattatoio. Da quel momento spesso le storie a fumetto nascono come storyboard per film, ne gira infatti altri due, ma ne risultano opere autonome : ReVolver per Poseidon Press - Redux e PoP! per Grrrzetic - Le 5 Fasi per BD - Voci Dentro per Latitudine 42 - Come Un Piccolo Olocausto, Un Uomo Mascherato e Monarch per Logos - Storia di una Madre e Human Kit per Alessandro Berardinelli Editore.
Spiega sul suo blog di come il nome d’arte venga dall’acronimo A K A , Also Known As, usato per descrivere lo pseudonimo di un artista, e con la lettera B dal remoto alfabeto lineare il cui suono corrispondente alla nostra lettera scritta era rappresentato da una casa. Per altri è identificato nella parola Maya che significa notte..e la nostra memoria non può non andare a Moby Dick.
In qualunque caso è facile associare l’opera di AkaB all’idea di oscurità, di abisso lontano. Tutte le sue storie sono in effetti delle avventure negli abissi, quelli della psiche umana e dei suoi meccanismi.
Come recita il sottotitolo di una mostra tenutasi a Pescara, Akab è fumettista e illustratore di storie senza pietà. I suoi temi principali sono la solitudine, la paura, la perdita di identità spesso a causa del dolore, perdita intesa sia in senso fisico che emotivo. Se nel periodo dell’adolescenza disegnava per capire il “fuori”, le ultime opere tentano una comprensione del “dentro”. Il fumetto è riscoperto come “ un mezzo fantastico che unisce pittura e letteratura e che innesca un perverso gioco con il fruitore attivo/ passivo”.
Michele R. Serra le ha descritte come “storie popolate da maschere alla Hannibal Lecter , di angeli caduti e crocifissioni” e in questo territorio ritroviamo di fronte alle tavole originali del volume Storia Di Una Madre, in mostra presso lo Spazio Artepassante Porta Vittoria fino al 30 settembre.
Si tratta di una fiaba struggente di H. C. Andersen, dove una giovane madre sprofonda nell’autodistruzione pur di riprendersi il bambino che la Morte ha già deciso di tenere per sé. Una storia di cupa sofferenza che procede solo attraverso le immagini e l’uso narrativo del colore, strumento di orientamento del percorso della protagonista, sicchè ogni svolta drammaturgica è contrassegnata dai pochi elementi colorati, ben evidenti rispetto alla predominanza di toni freddi di una notte d’inverno di luna piena. Un incubo livido e muto.
Si può dire che la storia sia riscritta con la lingua del silent book, con le immagini che sanno narrare autonomamente grazie all’alta qualità grafica. La madre è disposta ad ogni sacrificio o mutilazione pur di riavere il figlio ma soltanto alla fine, quando l’azione lascia il posto alla rassegnazione, alcune parole solitarie, bianche sul fondo nero ci svelano il destino ineluttabile e irrecuperabile del bambino.
La cura dell’insieme nel suo rapporto con i dettagli, che rende un’impressione sensoriale come il freddo o la voce strozzata, e ancor più la scelta del formato panoramico, ci conducono all’istante, e fino allo scioglimento dell’azione, in una dimensione cinematografica. Sulla carta.

Michela Ongaretti