“qualunque cosa tu farai non combinerai mai niente di buono” (nonna maria)

UGO PIERRI



Van Poppel, pittore inediale, poeta espressionista-crepuscolare, scrittore di racconti non più in voga, nasce a Trieste, in una portineria di via Canova al numero civico 26.

Da una sartina e da un medico, belli e sani, che in giovane età colpiti dalla tisi lo lasciano orfano in mano alla famiglia materna, quella della sartina.

La famiglia del padre, stirpe di magistrati e avvocati, ha altro da pensare e per raggiunti limiti di età e per paura del terrore slavo il nonno, primo presidente della Corte d'appello, si trasferisce al Sud donde era venuto.

La famiglia materna è un gruppo ben affiatato che litiga in continuazione. La nonna è una fervente cattolica, il nonno è un singolare bestemmiatore, ma calzolaio di vaglia. Sarà lui a fabbricare le prime scarpe di calcio, su misura!, per il nostro artista. Zio Carlo, meccanico d'auto, è un alcolista nominato e conosciuto in tutto il rione. Gli basta un bicchiere per partire. Le zie, che pur condividendo la stanza col nipote non si rivolgono la parola da anni anni, hanno caratteri del tutto diversi. Pierina è una sgobbona, in fabbrica e in casa. Annamaria, amante dei sogni, sempre in attesa del principe azzurro è impiegata al Genio Civile. Curano al meglio il bambino. Ma è probabilmente zia Elena, la figlia del primo presidente, di per sé intrigante e spesso senza ritegno, che, con la sua vivacità napoletana e il suo ramo ben radicato di follia, influirà maggiormente sulla formazione del nostro orfano.

La portineria è un antro ricco di sorprese. Nonostante la serena indigenza non manca niente. Ci sono addirittura due cessi, uno fornito di doccia sul muro di fondo del quale spicca un disegno del giovane Pierri: un poderoso sedere portante. Lo sgabuzzino, di imponenti dimensioni, contiene di tutto. Vecchie lavatrici. Un pianoforte. Un cavallo da giostra in legno. Biciclette che gli amici del calzolaio rubano e lasciano in deposito. Salumi appesi da tutte le parti, formaggi vari, sacchetti di farina e zucchero. Perfino, arrampicato sul soffitto, sul quale si agitano ragnatele nere di fumo, un allevamento di bachi da seta. Stufe dapertutto. Alimentate dal nonno che non voleva mai far mancare l'acqua calda, estate e inverno. In cucina lo sparhert coi suoi cerchi di ferro sempre roventi sui quali la nonna, razza Piave, tra un rosario e l'altro, cuoce quotidianamente la polenta. ( ah, quanto mi piace la polenta! n.d.r.).

Il ragazzo cresce bene, paffuto e viziato.

Alle elementari è un bravo bambino, con tanto di grembiule nero e fiocco azzurro.

Alle medie, rapato aerodinamicamente, comincia a perdere quota.

Al ginnasio, è oramai rovinato. E' promosso in virtù del nome del nonno primo presidente che zia Elena sbandiera a ogni piè sospinto. Il ragazzo non pensa ad altro che a giocare al calcio.

All'oratorio dei frati di via Rossetti incontra molti valenti giocatori e qualcosa impara. Ha un buon tiro e qualche grano di fantasia. Ma molti si ricordano di lui per aver ricevuto, da lui in persona, qualche calcio nel sedere.

Al liceo studia ancora meno. Si innamora, scarsamente corrisposto, di varie compagne ma il suo grande amore è il gioco del pallone. Umiliato da un professore che davanti all'intera classe gli ha promesso la sufficienza abbandona la scuola. Non va all'esame di riparazione nonostante il Preside gli avesse mandato a casa il suo bidello preferito.

Il suo carattere è naturalmente fragile. La sua balbuzie, che una leggenda metropolitana attribuisce al bombardamento del 10 giugno 1944, non lo aiuta. Il gioco lo distrae dal mondo crudele e dalle cattive compagnie.

Gioca e disegna. Disegna sul letto. Il suo primo quadro serve a coprire il buco annerito del tubo di una delle stufe dislocate in tutta la portineria.

Basta con la scuola! Ma pur di non lavorare, per lui il lavoro è concepito come stipendio del peccato, s'infila alla Scuola d'arte, dove tira a campare irritato dai sedicenti artisti e dalle otto ore quotidiane. Conosce però bravi insegnanti quali Predenzani, Bastianutto, Cogno, ai quali però non da troppo retta. Speculazioni, arditezze tecniche, esperimenti non gli appartengono. Gli piace disegnare ma di più tirar calci al pallone.

La patria lo chiama sotto alle armi dove disegna le carte geografiche della compagnia e trova il tempo per stendere con un cazzotto un commilitone che aveva offeso l'onore della sua città.

Dalla squadra dell'oratorio, la Virtus , è passato alla Libertas. E' un decentissimo dilettante quando un osservatore lo fa acquistare dal Treviso allora militante in serie C.

1962: Il professionismo è una cosa seria, il calcio gioco da uomini.

Van Poppel comincia bene finchè l'allenatore, presolo in disparte, paternamente gli confida: sei in forma, ma gioca lui che è in prestito dalla Juventus. Il mondo gli cade addosso. Le gambe gli si piegano. Si sente ancora una volta umiliato. Prende la valigia e se ne torna a casa.

A casa per la felicità della portineria e per l'infelicità di Afra, una brava ragazza conosciuta a Treviso e che poi sposerà. Con grande beneficio per lui e immenso sacrificio per lei.

Nel '64 incontra la poetessa Trauber, anima di Trieste, araldo della città. Zia Elena, che spera nell'aiuto della poetessa per i suoi racconti, ha un suo quadro in salotto, la Trauber lo vede e qui comincia l‘avventura ( arbeit macht frei ) artistica di van Poppel. La Trauber stravede per lui, la critica meno. Gli organizza due mostre, gli fa vendere qualcosa. Vuole far di lui un artista. Nella sua casa laboratorio di via Cassa di Risparmio gli fa incontrare un sacco di letterati e varie personalità, artisti quali Gatto, Mascherini, Guttuso. Ribatte e fa leggere alla radio i racconti umoristici che lui scrive per divertire gli amici. Vuol fargli amare Groddeck, Nietzsche e gli “adelphiani”.

Ma lui è un testardo animale da pallone e frequenta tutti i campi e campetti e cortili della città. Nel '66 il suo ES tormentato e deluso dal fallimento sportivo lo fa ammalare di TBC. A scoprire i buchi nei suoi polmoni è il professor Roentgenfunk, che dopo qualche tempo migrerà nella terra dei crucchi in quel di Brixen.. Legato al letto legge un'infinità di classici. Gravemente malato è miracolosamente guarito in pochi mesi.

C'è da riempire un vuoto e lui lo riempie con la pittura.

Nel '68 un amico lo porta a casa di Giovanni Comisso, che lo presenta ai titolari della Galleria S.Stefano di Venezia e gli scrive la presentazione della mostra (1970).

Dopo aver letto lo studio antologico Poesia operaia tedesca del ‘900 di Maria Teresa Mandalari ( Feltrinelli UE 683 ) inizia a scrivere versi del tutto piani e popolari.

Nel '70 incontra il poeta Cosmo Ritter, rimbaldiano curioso di ogni esperienza, col quale ogni santa domenica si accompagnerà in passeggiate del tutto letteral-filosofiche. Cosmo Ritter che leggerà e limerà i suoi primi versi. Cosmo Ritter col quale frequenterà i basagliani, la democratica psichiatria coi suoi galantuomini e suoi profittatori. Cosmo Ritter che gli regalerà ( 16 ottobbre '78 nel medesimo istante in cui il prete popacco sale al soglio pontificio) Milù, un gatto che gli terrà compagnia per 18 anni.

Nel'72 frequenta un corso per neocatecumeni. Ma impressionato dall'esuberante uso dei riti e di costrizioni lo abbandona dopo il primo anno. Continua però a leggere con maggior intensità i vangeli e prova un profondo, caldo sentimento di Dio. E una crescente avversione per il sinedrio e gli scribi-farisei che lo sostengono. Non ininfluente l'invaghimento per una giovane bionda dagli occhi azzurri. Ben presto fuoruscita anche lei da quel training autogeno spirituale.

Ma è pur sempre il pallone che lo seduce.

Afra gli dà l'aut aut. O mi sposi o ti pianto.

Lui senza una lira non sa che pesci pigliare. Deve guadagnare per farsi una famiglia. In ciò lo aiuta il suo amico, compagno di gioco, di scuola, di fabbrica, ora parroco di Via Vasari, che dal purgatorio della disoccupazione lo introduce nell'inferno della produzione.

Dal'67 è grafico presso la Petzman Spa. Staziona nella gabbia del pane inghiottendo rospi e umiliazioni. I discorsi dei colleghi non lo riguardano. L'unico gradevole diversivo in tutto quel grandaffare è il sedere portante della sua collega Laura.

Senza troppa libertà per anni e anni disegna carte da regalo. Per spirito cristiano fa il sindacalista abbracciando la causa operaia. Il padrone non lo ama. Lui non ama i padroni. Il padrone trova il modo di farlo fuori, inviandogli tra i piedi un professore della Scuola d'Arti, mestieri e appalti, il professor Guano, che agisce da collaboratore esterno. Un pidocchio ripulito che “per elevare il tono sociale della famiglia” aiuta il padrone a metterlo alla porta.

E' sul lastrico, ma Afra, angelo della casa e moglie devota, gli è vicina. Il suo amico prete lo sovvenziona. La vita continua. Come continua il suo onesto disegnare.

Ferito nel profondo dall'analfabetismo etico del professor Guano e dei suoi collaborazionisti torna ad ammalarsi spesso e gli scarsi proventi ricavati dalla cessione di qualche disegno vanno in medicine e vistite specialistiche.

Per un giorno si iscrive al P.C.I. con la speranza di preservarlo dall'idiozia dei revisionisti. Si tratta di votare per evitare la spaccatura del partito.

Inzeppato di pregiudizi il nostro artista rompe spesso ogni contatto. Il suo atteggiamento ironico e distaccato verso la popolarità lo fa apparire, quale è, uno snob foderato di presunzione. Dicerie lo descrivono come una persona irritabile e vendicativa, qual è.

Le autorità non lo commuovono. Tantomeno i maggiorenti verso i quali nutre una viscerale diffidenza. Totoisticamente, per lui, non sono che dei “caporali”.

La sua sincerità nasconde infinite miserie. Ma il suo lavoro qualcosa dice. Non ho mai cercato qualcosa di nuovo, solo di dire la mia, ripete spesso il nostro.

Il significato di coscienza artistica gli è del tutto estraneo. Ma non estraneo gli è il concetto dell'arte. Sa bene quanti siano i millantatori, i sedicenti artisti, i falsi prodeti, per non parlare della pessima razza dei critici. Non ha messaggi da inviare né compiti da svolgere. Tantomeno ha qualcosa da insegnare a qualcuno.

Bisognoso di affetto e di comunicare è un grafomane impenitente. Con Matteo Moder e Lilith C.Magrit, sotto vari pseudonimi, manda in giro “Ossetia, l'eco del popolo oppresso” un foglio amicale e velenoso che giunge in busta chiusa a chi vi è nominato. Nero su bianco che gli procura non pochi fastidi e infinite ritorsioni da parte soprattutto dei “corti che affollano la nostra ridente necropoli”.

Schivo e incapace di farsi avanti nella vita si affida agli amici.

A loro deve la sua attività artistica.

Ermete Lombardo, poeta anagogico, gli fa fare buone mostre a Cremona ( 1979, 1987, 1999 ). Un'amica della Trauber, Noemi Halperin, gli fa fare mostre a Ginevra ( 1982, 1999, 2000 ). Il gallerista esoterico e George Sand lo espongono varie volte ( 1987, 1988, 1992 ). Il gauleiter Alpenstock dell'Università cattolica nel suo Laboratorio della Comunicazione a Gemona del Friuli.Mog, giovane intellettuale romano, poeta emergente, gli cura due mostre nella capitale ( 2001). Il commediografo Taylors gli fa fare mostre nel suo teatro a Milano 2003, 2004, 2005). I responsabili della Cartesius, i Bridge, padre e figlio, lo aiutano non poco (1972, 1994 ).

Vanesio Bird e Bob Damiani, il gatto e la volpe della letteratuta triestina, lo presentano alla Galleria degli Artisti ( 1974). Tullio Asterics ( 1985 ) gli sta alle costole e gli pubblica una serie di tarocchi. Il peggior lavoro che Asterics, colto e raffinato, abbia editato.

Nel '86 sulla Collina (l'ex OPP) s'imbatte nel pittore Furio Cavallini giunto colà da Milano per ricaricare le batterie. Cavallini che instancabilmente dipinge gli alberi e il paesaggio dell'ex manicomio. Cavallini che lo fa riavvicinare all'olio e gli ispira Villa R, una serie di alberi eccitati e stralunati paesaggi.

Sempre sulla collina trova Ugo Guarino, uno spirito creativo di rara capacità e duttilità. uomo febbrile al limite dell'internamento.

Tra la fine degli anni ottanta e la metà degli anni novanta, grazie all'interessamento della regista Rosa Luxemburg del Teatro Popolare, lavora per il teatro La Contrada.

Nel '91 il compagno Visiolescu, allora direttore del Lavoratore, lo chiama per curare la pagina “umoristica”. Con Bobo Briefing, Moder e altri belli spiriti accompagna il glorioso giornale alla tomba.

Nel '95 conosce il poeta Colophon: da allora non si sente più l'ultimo diseredato della necropoli.

Quasi nello stesso periodo ritrova l'attore desaparecido Vittorio Kean del quale non riuscirà più a liberarsi.

Vittorio Kean che declamerà i suoi versi in vari circoli pubblici e privati.

Il Comune nel '95 lo incarica di allestire a Palazzo Costanzi una mostra per la sua antica istitutrice. La francescanità dell'allestimento, francescana era la sua ex istitutrice, non piace alla direttrice della Biblioteca Civica, una beghina di corto pensiero, che nottetempo inzeppa la mostra con foto gigantesche ordinate a una sua amica. Naturalmente van Poppel ritira la sua firma. Belli i lavori in legno di Giuliano Pezzi.

Nel 2000 per il rinnovo della sede dell CGIL, una semplice imbiancata in realtà, pubblica un libretto di disegni aziendali. I comunicati illustrati affissi in portineria a ogni sciopero.

Nel 1996 lo stampatore Kalende pubblica i suoi primi versi dedicati al gioco del calcio. Nel '97 lo invita a disegnare le avventure di Pinocchio. Kalende è uomo semplice non sciupato da studi filosofici. Sempre consigliato dalla moglie che spesso sembra cadere dalle nuvole.

Lo stesso anno entra in famiglia Otto. E' il cane di sua figlia che dopo anni di vagante prodigalità abita in un appartamento troppo piccolo per qualsiasi tipo di bestiario.

Con l'arrivo di Otto rientra nella sua vita un altro tipo stravagante, l'operatore culturale no-profit Zero Mostel, detto Blatta. L'organizzatore di serate culturale no-profit lo invita perennemente a tutte le sue manifestazioni, gli spilla mdisegni per i suoi ipotetici premi ad personam e per antico vizio necropolitano lo sputtana per trivi e angiporti.

Nel 1997 l'editore Al Boino di Milano stampa i suoi haiku dialettali. Monti che nel 2002 insiste con i versi triestini stavolta scritti a due mani con Taf, naufrago nella metropoli lombarda.

Kalende lo stima e lo sopporta e continua a pubblicarlo: Via Canova 26 ( racconto con tarocchi) 1997, Noi parrocchiani 1998, Selezione celeste 1999, La gabbia del pane (racconto di un fannullone) 1999, Icaro depennato ( racconto ospedaliero) 2002.

Nel 2003 sempre per Kalende traduce e illustra Catullo.

Nel 2004 incontra durante un reading il poeta americano Jack Hirschmann che gli traduce i versi staliniani. Steel away, il titolo del libretto.

Nel 2003 La Biblioteca Statale Quarantotti Gambini organizza la mostra, sui campi di sterminio, “Per non dimenticare” con la presentazione del critico Swartzbeck.

Nel ‘2004 la signorina Seawater, fotografa, promotrice culturale, gli organizza la mostra “La chioma della sirena” dedicata alla sua antica istitutrice la poetessa Trauber. Da quel momento indossati i panni del professor Unrat si avvia a un lento, piagnucoloso, inevitabile infrollimento.

Nel 2005 esce sempre per Kalende: In JHS we trust, in JVD we must, una raccolta di versi tetrallegri.

Nel 2005 è ancora la Seawater a proporgli per i quarantanni di attività cinque mostre e un catalogo, firmato Swartzbeck. Esce nei Seawater's quires un suo racconto lungo, Il mangiatore di carta.















Compresso tra l'incudine del vangelo e il martello del mercato conduce da sempre un'esistenza in bilico. Deriso dai detrattori, consolato dai pochi amici che ha. (Kuno Kohn)